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Il carciofo, un ortaggio ricco di benefiche virtù

Il carciofo è un ortaggio tipico dell’area mediterranea, particolarmente legato alla tradizione culinaria della Puglia e dell’Italia, storicamente il paese maggior produttore al mondo. La sua origine non è del tutto chiara e si ipotizza che la domesticazione sia stata avviata in Sicilia. Gli Arabi lo coltivavano già nel IV secolo a.C. e tracce della conoscenza e dell’uso del carciofo si trovano in tutte le civiltà del bacino del Mediterraneo, grazie alle molte virtù che gli erano attribuite e alle sue apprezzatissime qualità organolettiche.

In Italia la superficie totale si aggira sui 40 mila ettari (Dati ISTAT 2017) con una produzione di circa 4 milioni (3.878.00) di quintali. Tra le regioni, la Sicilia è la regione in cui si producono più carciofi (173 mila tonnellate su circa 15 mila ettari), seguita dalla Puglia (quasi 114 mila tonnellate prodotte su 12 mila ettari), dalla Sardegna (quasi 50 mila tonnellate su 9 mila ettari) dalla Campania (quasi 18 mila tonnellate su circa 1.100 ettari) e dal Lazio (11 mila tonnellate su circa 900 ettari).

Superficie coltivata a carciofo e produzione totale in capolini in Italia e nelle principali regioni interessate

 

Il carciofo è una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae. La porzione edule è costituita essenzialmente dalla base carnosa dell’infiorescenza (capolino): il ricettacolo o “fondo” e le brattee interne più tenere che avvolgono il capolino.
Il suo uso come alimento viene testimoniato nella Naturalis historia di Plinio e nel De re rustica di Columella. Occupa un ruolo importante nella dieta mediterranea e nella piramide alimentare per il suo basso apporto calorico e la ricchezza in minerali (potassio, calcio, fosforo e ferro), mentre scarso è il contenuto vitaminico. È, inoltre, ricco di sostanze di grande interesse salutistico quali l’inulina, i fitosteroli e altri composti di natura polifenolica come la cinarina.
L’inulina è un polisaccaride (polimero del fruttosio) idrosolubile, non digerito dai succhi gastrici ma metabolizzato dai bifidobatteri. Ha proprietà prebiotiche, in quanto stimola la proliferazione dei microrganismi probiotici che costituiscono la flora batterica utile al nostro organismo, mentre inibisce l’insediamento di batteri dannosi.
Grazie alla presenza di polifenoli (rappresentati dall’acido 5-caffeil-chinico detto anche acido clorogenico, dall’acido caffeico (1%) e dall’acido 1,5-dicaffeil-chinico), di flavonoidi e steroli, esercita un’ampia funzione protettiva come coleretico, epatoprotettore, diuretico e ipolipemizzante. Il carciofo è inoltre ricco di fibra alimentare, utile a mantenere la funzionalità intestinale e a raggiungere il senso di sazietà, aiutando a limitare il consumo di alimenti (Cannella, 2009).

La pianta del carciofo è presente nella Farmacopea Italiana. La cinarina (estere dicaffeico dell’acido chinico: C25H24O12) viene infatti impiegata anche in farmacologia per la sua azione diuretica e coleretica, che favorisce cioè la secrezione biliare da parte delle cellule del fegato. Questa sostanza, dal sapore amarognolo, viene idrolizzata nel tratto gastro-intestinale, producendo acido caffeico che è già presente in forma libera o come acido clorogenico nelle foglie. L’azione coleretica favorisce l’assorbimento dei grassi e più in generale il metabolismo lipidico. Recentemente è stato dimostrato che gli estratti di carciofo sono efficaci nella prevenzione dell’aterosclerosi, in quanto inibiscono la sintesi del colesterolo e aumentano la secrezione biliare. Il consumo alimentare del carciofo è consigliato come rimedio di eccellenza per il paziente dislipidemico, che non abbia ancora importanti manifestazioni cliniche di complicanze cardiovascolari. Il sapore amaro si deve ai lattoni sesquiterpenici: la cinaropicrina e i suoi derivati (Cannella, 2009).


Il consumo del carciofo nella dieta degli italiani (circa 8 kg/pro capite/anno) è di gran lunga il più elevato nel mondo. Il 95% dei capolini prodotti in Italia è consumato sul mercato interno.
Il carciofo è un ortaggio prodotto in pieno campo in diverse regioni italiane e, grazie alla ricchezza del suo germoplasma, è presente sul mercato da ottobre a maggio con tipologie differenti.
Le diverse varietà possono essere raggruppate, in base alle loro caratteristiche (larghezza, peso e forma del capolino principale, precocità, periodo delle raccolte, lunghezza del peduncolo, spinescenza delle brattee e delle foglie, forma dell’apice delle brattee e colore della lamina inferiore della foglia), in 3 tipologie :“Spinosi”, caratterizzati da lunghe spine su brattee e foglie, “Violetti”, con capolini viola di medie dimensioni e produzione autunnale, e “Romaneschi” con capolini più o meno globosi e produzione primaverile.
Altra classificazione si basa sulla sola epoca di raccolta: “precoci” o “rifiorenti”, con produzione tra l’autunno e la primavera, e “tardivi” o “non rifiorenti”, con produzioni primaverili.

Germoplasma di carciofo (da sin a ds): Spinoso, Romanesco, Violetto

Le varietà maggiormente diffuse in Puglia sono il Violetto di Provenza o Francesino, nella provincia di Foggia e il Violetto di Sicilia o Catanese (Brindisino e Locale di Mola) nelle province di Brindisi e di Bari.

Il germoplama tradizionale italiano di carciofo viene moltiplicato per via vegetativa. Attualmente la propagazione per “seme”, mediante l’impiego di ibridi, costituisce una valida alternativa, contribuendo alla razionalizzazione della tecnica colturale, al miglioramento dello stato fitosanitario delle piante e all’incremento delle produzioni unitarie.
I vantaggi della moltiplicazione per seme sono legati alla riduzione dei costi di manodopera e trasporto grazie alla concentrazione del ciclo di produzione, alla maggiore produttività dovuta al vigore e alla salute delle piante; alla flessibilità nel ciclo produttivo, con possibilità di ottenere la produzione anche in estate, in coltura annuale o biennale, migliore adattabilità, rispetto alle altre cultivar tradizionali, alla lavorazione industriale.

Quest’ultima ha acquisito negli ultimi anni un ruolo sempre più determinante per il consumo del carciofo, la cui preparazione per l’impiego culinario è piuttosto laboriosa, sia per l’eliminazione delle foglie esterne e della mondatura del ricettacolo e del gambo, sia per la necessità di impiego di soluzioni antiossidanti, come il succo di limone, per evitare il noto processo di imbrunimento. Il consumatore moderno chiede qualità, valore nutrizionale, facilità di preparazione e comodità d’uso degli alimenti.
Pertanto, attualmente numerosi sono i prodotti trasformati del carciofo: dalle tradizionali conserve in olio o in salamoia, alle preparazioni per il catering, i surgelati, i prodotti pronti all’uso, freschi o cotti.

Innovazione di processo e di prodotto nella lavorazione del carciofo (ADRIATICA CONSERVE S.R.L.)

La trasformazione può avvenire mediante processi fisici, chimici e biotecnologici. I processi fisici sono prevalentemente basati sulla variazione di temperatura (trattamenti termici, surgelazione), mentre quelli chimici utilizzano acidi organici, per abbassare il pH del liquido di governo, o il sale, per abbassare l’attività dell’acqua. I processi biotecnologici consistono nella produzione di acido lattico attraverso la fermentazione, spontanea o controllata, condotta da batteri.
I prodotti trasformati sono prevalentemente destinati al consumo diretto o al catering. In alcuni casi invece costituiscono un semilavorato da destinare a successive preparazioni. Negli ultimi anni la diversificazione dei ruoli nelle industrie conserviere si è andata sempre più accentuando, per cui alcune aziende producono esclusivamente semilavorati, altre sono specializzate nella preparazione dei prodotti finiti sottaceto e sottolio.
In genere i trasformati sono prodotti stabilizzati termicamente in diversi liquidi di governo (olio di oliva o di semi, salamoia, in qualche caso aceto) e sono di solito caratterizzati da vita commerciale molto lunga (anche superiore all’anno) e da livelli qualitativi che possono variare a seconda del tipo di lavorazione, dalla ricetta utilizzata e dalla sua formulazione. Il trattamento termico stabilizzante può incidere sugli aspetti nutrizionali ed organolettici del prodotto trasformato, che può differire, seppur in varia misura, dal prodotto di partenza. La surgelazione consente il mantenimento delle caratteristiche organolettiche del prodotto ma una vita commerciale più breve e necessita della catena del freddo durante la distribuzione e la commercializzazione per rispettare i livelli termici ottimali (<18 °C) di conservazione.
Di recente sono stati introdotti sul mercato altri alimenti surgelati a base di carciofo, come i carciofi impastellati pronti da friggere, le crêpe, i cannelloni ripieni di carciofo, ravioli e carciofi saltati in padella (Colelli e Calabrese, 2009).

Prodotti alimentari a base di carciofo

Le ultimissime tendenze dell’industria di trasformazione sono rivolte alle esigenze dei consumatori verso prodotti con caratteristiche nutrizionali e organolettici il più possibile simili al prodotto fresco, e al contempo pratici nell’impiego e nella preparazione e cottura, i prodotti di IV e V gamma. I prodotti IV gamma sono i prodotti ortofrutticoli freschi, lavati, tagliati, confezionati e pronti all’uso, mentre la V gamma prevede anche trattamenti termici; per entrambi la conservazione avviene a 2-4 °C, con la catena del freddo. Il periodo di conservazione della IV gamma è di solito di 4-7 giorni, mentre la V gamma può essere conservata anche per alcuni mesi (Colelli e Calabrese, 2009).

L’azienda che ospiterà il seminario sul carciofo, ortaggio particolarmente legato alla tradizione culinaria pugliese, è Adriatica Conserve S.R.L. azienda che, con innovazioni di processo e prodotto si occupa della trasformazione del carciofo per accompagnare l’evoluzione delle abitudini alimentari dei consumatori.

Il video in allegato racconta la storia e l’evoluzione dell’azienda tra tradizione e innovazione.

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